ECCEZIONALE: UNA LUNGA INTERVISTA DI SENSEI ROBERT SIDOLI (7° DAN KWF) A SENSEI MALCOLM DORFMAN (8° DAN KWF)

Sensei (Maestro) Malcolm Dorfman è Vice Capo Istruttore nella KWF (Karate-no-michi Worl Federation di Yahara) a livello mondiale, membro dello Shihan-kai KWF e 8° dan. Ha 59 anni. Vive e insegna in Sud Africa. Questa intervista è stata rilasciata recentemente al mio amico Sensei Robert Sidoli, 7o dan KWF (UK), che me ne ha fornito il testo (traduzione dall’inglese a mia cura). E’ una testimonianza veramente importante e rara sul mondo del karate tradizionale giapponese, su molti personaggi ormai leggendari e su alcuni aspetti del Budo Karate molto interessanti. 1. Mi pare che tu abbia studiato Judo da bambino prima di iniziare il karate. Ti ha aiutato questo nel karate?

Tutte le arti marziali giapponesi, se fatte con il vero spirito tradizionale, instillano in uno una comprensione del Budo. Questo fu il mio inizio. Naturalmente a livello fisico le proiezioni e le tecniche a terra aggiunsero al mio arsenale di “mano vuota” armi, specialmente nel kumite nel dojo e per quello che può essere necessario in un combattimento di strada. Le proiezioni oggi pare stiano prendendo piede nella situazione di shiai, specialmente nella WKF (World Karate Federation). Questa comprensione del Judo mi aiuta ad inserire proiezioni nell’allenamento shiai agonisti. (N.d.T.: La parola ‘shiai’ oggi significa ‘incontro’ o ‘gara’)
2. Perché hai iniziato il karate e perché lo stile Shotokan?

Da ragazzino ho sempre desiderato di essere forte e capace di difendermi e le arti marziali solleticavano il mio interesse. Di qui la mia partecipazione nel judo per un pò intorno ai 12 anni e un ritorno al judo a circa 16 anni. Il karate genuino era nuovo in Sud Africa a quel tempo e io guardavo Stan Schmidt (N.d.T.: famoso Maestro di karate, autore di numerosi libri e filmati) tenere un corso all’Università, gli parlai e cominciai subito dopo. All’inizio feci sia karate sia judo contemporaneamente, ma ben presto mi accorsi che andavo meglio nel karate che nel judo così il passaggio al solo karate avvenne un anno dopo. Fare Shotokan fu un caso. Ci fosse stato il Goju (N.d.T.: altro stile di karate) all’Università, sarei magari diventato un karateka del Goju ora.
3. Tu hai ottenuto i colori dello Springbok (N.d.T.: nome di una gazzella sudafricana che spicca alti balzi, nonché soprannome della squadra nazionale sudafricana) e credo tu abbia partecipato alla 1^ squadra internazionale sudafricana a girare all’estero intorno al 1970. Cosa provasti nel far parte di una squadra così prestigiosa?

Rappresentare il proprio paese è sempre un grande onore e specialmente come giovane karateka che cerca di eccellere e di misurarsi, fu a quel tempo per me il più grande conseguimento.

4. Mi pare che arrivasti fino ad essere il capitano della squadra. Quali incontri di rilievo ricordi da quegli 8 anni p più in cui hai rappresentato l tuo paese?

Risto Krishkila era il Campione europeo JKA nel 1978 quando la squadra tedesca venne in Sud Africa. Lui arrivò molto sicuro di se nel suo combattimento contro di me. Tre waza-ari da tre forti gyaku-zuki entro la fine dell’incontro e la sua sicurezza sparì. Ciò consentì al Sud Africa di sconfiggere la Germania. Più tardi quell’anno combattei con Billy Blanks (Mr Tae-Bo) nei tornei USA contro Sud Africa. Ricordo quando afferrai la sua gamba in uno dei suoi originali calci e lo rivoltai sottosopra prima di fare punto su di lui. Tutti nella squadra el Sud Africa erano molto apprensivi per dover combattere contro Billy e Tokey Hill, così quello dette una buona spinta psicologica ai miei compagni di squadra prima del torneo. Ma ci furono molti piccoli incidenti in incontri differenti in quel decennio che mi son rimasti in testa. Questi sono solo un paio di esempi. Un incontro divertente (ora, ma non a quel tempo) ci fu nei tornei contro gli USA quando il Sud Africa sconfisse gli USA a Johannesburg 6-4, gli USA sconfissero il SA a Durban 6-4 e il punteggio nel terzo e ultimo test a Pretoria era di 4 pari con un incontro finale che avrebbe deciso tutto il torneo. Io arrivai per combattere contro il mio avversario USA. Pochi secondo dopo, ero sopra di 1 waza-ari (N.d.T.: mezzo punto). Lui allora si mosse verso me e io lo colpii con forse il miglior gyakuzuki (NdT: Pugno sferrato con il braccio opposto alla gamba avanzata) che io abbia mai fatto – perfetti il tempismo– la distanza – il kime rilassato – tutto da manuale. Io tornai sulla linea consapevole di averlo fatto per il mio paese. Guardai in alto e con mio stupore lui d’improvviso crollò. Il minaccioso ‘Hansoku’ (NdT: Richiamo arbitrale a seguito di un’infrazione molto seria) sembrò così squillante. Avevo rotto il suo sterno e perso l’intero torneo per il Sud Africa con quell’unica tecnica. Non ho mai dimenticato quell’incontro e i miei compagni di squadra non me lo fanno scordare.
5. C’è mai stato un Maestro giapponese stabilmente in Sud Africa? Se no, come funzionate come gruppo, e come sono diventati così famosi a livello mondiale i livelli più alti.

Non c’è mai stato stabilmente un istruttore giapponese e questa è stata una benedizione travestita. La maggior parte degli istruttori giapponesi hanno soffocato i loro studenti occidentali più esperti con restrizioni, specialmente per ciò che riguarda i soldi, gli esami degli occidentali esperti e il loro diritto di tenere sessioni d’esame. A noi è stato consentito di sviluppare a modo nostro la nostra organizzazione sudafricana mantenendo accesso all’insegnamento giapponese o recandoci all’ Honbu Dojo JKA (NdT: Dojo centrale, luogo di allenamento della sede centrale di una organizzazione) in Giappone. In quest’ultimo modo i nostri massimi livelli sono diventati ben conosciuti a tutti gli istruttori giapponesi invece di essere solo conosciuti, come la maggior parte degli esperti occidentali, al loro Maestro giapponese residente nel loro paese. Inoltre, lasciandoci alla nostra immaginazione, abbiamo ricercato metodi scientifici di allenamento, sviluppando così un forte marchio del karate, che ben presto è diventato conosciuto al resto del mondo del karate. Come gruppo, gli esperti del Sud Africa avevano bisogno di legare insieme per progredire e noi siamo cresciuti sempre di più.
6. Cosa ti ha spinto a visitare il Giapponese con lunghe permanenze così presto nella tua carriera nel karate?

Avevo sete di conoscenza e mi accorsi che nonostante gli esperti sudafricani che avevano iniziato prima di me fossero realmente forti e motivati, il loro livello non era così buono come quello dei migliori istruttori giapponesi e nemmeno avevano la conoscenza di Sensei Nakayama, Shoji e simili. Era rimasta solo una strada per me - il GIAPPONE.
7. Tu ti sei allenato regolarmente in Giappone alla metà degli anni ’70 fino alla frammentazione (NdT: della JKA – Japan Karate Association, quando alcuni Maestri si separarono ). Ti sei allenato solo all’Hombu JKA o hai visitato anche altri Dojo?
Anche dopo la frammentazione mi sono allenato regolarmente con la JKA di Nakahara fino al 1993 e dopo con la JKA di Asai fino alla formazione della KWF. Gran parte del mio allenamento era all’ Honbu Dojo di Ebisu, ma mi sono allenato molte volte Shokukan Dojo di Sensei Tanaka e infatti ho rappresentato lo Shokukan in due All-Japan Championships. Mi sono anche allenato occasionalmente all’ Hoitsugan Dojo di Sensei Nakayama a metà degli anni ’70. Ci sono anche stati altri dojo dove mi portò Sensei Tanaka per allenarmi, ma non ricordo i loro nomi.
8. Com’erano le cose nel Nido di Calabroni (il corso istruttori della JKA) dove credo ti sei allenato molte volte come ospite?

Dovevi farne parte per capire sia la paura che l’orgoglio che avevo in testa. Fu un’esperienza che mi resterà con me per sempre e che fece avere quello che credo sia il vero spirito del Budo. Coloro che non hanno provato quei corsi e quelli che sono svaniti e hanno abbandonato, hanno perso l’occasione di far parte del più grande sistema d’allenamento nella storia del Karate-do secondo il Budo tradizionale. 9. Era normale per i visitatori mantenere la distinzione di allenamento con il corso istruttori?

Ti guadagnavi il diritto con la tua attitudine e abilità nel corso generale che precedeva il corso istruttori. Se ti facevi notare ottenevi un invito, ma era raro. 10. Come visitatore in Giappone pensi che ti trattassero allo stesso modo degli studenti giapponesi?

In generale la risposta è no, io fui fortunato nel farmi degli amici molto buoni con Sensei Yoshimasa Takahashi che era sempai (NdT: studente più anziano) di Sensei Tanaka (da non confondere con Shinsuke Takahashi, il Maestro giapponese responsabile in Australia). Lui mi trattò benissimo e mi presentò a Sensei Tanaka che sarebbe poi diventato un grande amico. Questi due Maestri per me fecero la differenza all’ Honbu nei primi giorni. Ma la sensazione che i ‘Gaijin’ (NdT: gli stranieri, non giapponesi) fossero membri di seconda classe era molto ovvio a quel tempo dall’atteggiamento sprezzante di molti sensei JKA di alto grado. Oggigiorno, con così tante suddivisioni nelle organizzazioni, gli occidentali sono trattati meglio. Ho l’impressione che il KWF di tutte le principali organizzazioni di stile-JKA è la meno dominate dai giapponesi e gli occidentali ricevono un miglior trattamento e riconoscimento rispetto alle altre organizzazioni. Per quanto ne so la JSKA può avere una mentalità simile verso gli occidentali a quella diKWF.
11. Con chi ti sei allenato al corso Kenshusei (NdT: corso istruttori JKA) quando sei stato in Giappone?
Il ‘Who’s Who’ del karate JKA. Negli anni ’70 e ’80 Maestri come Ueki, Oichi, Tanaka, Tabata, Abe guidavano I giovani istruttori della mia età quali Yahara, Mori e Kasuya. Ogni volta ache andavo là, c’era un nuovo gruppo di giovanotti come Omura, Imura, Kagawa, che oggi sono loro stessi importanti Maetri nelle più importanti organizzazioni di stile-JKA che sono sorte.
12. Cosa ti spinto a ritornare in Giappone ogni anno ?

A rischio di sembrare masochista mi accorsi che sono accorto che il trattamento fisico crudele che ho ricevuto all’ Honbu dojo era quello che mi avrebbe fatto crescere in quel tipo di karateka che desideravo essere. L’ambiente dove ci si allena all’Honbu era così motivante. Mi sembrava di essere nel cuore e nello spirito del karate. La bellezza della cultura giapponese era anche un fattore stimolante che mi spingeva a ritornare.
13. Chi ha avuto nel karate la maggior influenza su di te, sia personale sia per il karate?
Più di tutti Sensei Tanaka. Lui è stato il mio mentore per 19 anni. Sensei Nakayama Sensei e Sensei Nishiyama hanno avuto una grande influenza su di me. IN Sud Africa naturalmente c’era Stan Schmidt che mi mise sulla corretta via circa 40 anni fa e continuo a farlo per molti anni. 14. Ho visto una tua foto presa durante un allenamento privato di kumite con Sensei . Ci puoi dire com’era poter allernarsi così intensamente, uno contro uno, con questo grande maestro?

L’emozione iniziale è di paura temperata dall’orgoglio per essere così privilegiato nell’avere questa attenzione focalizzata su di me. Ma sapevo che se mi mostravo debole questo sarebbe sembrato un segno di mancanza di rispetto e mancanza di apprezzamento. Lui si aspettava che io combattessi con tutto ciò che avevo. Io sicuramente lo feci, e questo deve essergli piaciuto perché ripeté questo uno contro uno molte volte. Ho imparato moltissimo da lui, non solo tecnicamente e strategicamente, ma anche sullo spirito del combattimento. Una volta a Copenhagen uscimmo dal dojo dopo 45 minuti di kumite non-stop a porte chiuse e dovemmo discendere il passaggio che porta dal dojo agli spogliatoi. Il passaggio era pieno di studenti che aspettavano il loro corso. Sia Sensei Tanaka che io avevamo tantissimo sangue sui nostri Karate-gi. Gli studenti ebbero uno shock quando uscimmo. Io ero ferito dappertutto e sono sicuro che lo era anche lui.

15. Tu hai instaurato una relazione molto stretta con Sensei Tanaka Masahiko. Per favore dicci qualcosa sul Tanaka uomo, e com’era allenarsi con lui?

Sensei Tanaka era il mio eroe quando ero più giovane. Per me lui era il Samurai che personificava il Budo nel karate. Io volevo essere come lui. Mi mostrò una tale gentilezza al di fuori del dojo e una tale rudezza quando lo fronteggiavo nel dojo. Lui personificava il vero significato di durezza e leggerezza nel karate. Purtroppo quando lasciai la JKA di Nakahara lui sentì la necessità di rompere il nostro contatto e la perdita di questo stretto legame e dell’amicizia che avevamo è il solo e unico rimpianto che io ho nell’avere lasciato la JKA.

16. Il tuo rapporto con Sensei Tanaka ti ha aiutato in qualche modo con gli studenti del Kenshusei (NdT: corso istruttori JKA) o eri visto come una minaccia?
Sensei Tanaka aveva un approccio al karate da Samurai. Lui mai mi cullò come un bambino o mi protesse nel dojo in nessun modo. In realtà succedeva il contrario. Lui voleva che io crescessi in base alle stesse linee che lui stesso aveva praticato. Tuttavia, la nostra amicizia fu notata dagli altri e coloro che non lo amavano automaticamente non amavano me. C’erano sempre due gruppi rivali all’Honbu Dojo. Nello Shokukan Dojo di Sensei Tanaka, il suo gelosissimo miglior studente Nakamura odiava l’attenzione che Sensei Tanaka dava a me ed era gretto e maligno quando poteva esserlo contro di me. Fortunatamente questo non mi influenzò in nessun altro modo che nell’essere irritato. In Danimarca, alcuni degli membri danesi anziani di Sensei Tanaka si risentirono dell’atteggiamento di Tanaka nei miei confronti. Essere suo amico ebbe pro e contro, ma i vantaggi furono certamente maggiori degli svantaggi.
17. Ci fu mai un aspetto sociale nelle tue visite giapponesi? Forse un altro modo di porre la domanda è: hai mai socializzato con personaggi come Tanaka, Imura, Kagawa e altri o era un ambito chiuso?

Naturalmente talvolta fui invitato ad andare con un gruppo di istruttori in un ristorante o a bere (io non bevo, così fui soprannominato (Signor Spremuta d’Arancia). Molti istruttori nel corso degli anni mi portarono fuori a cena di tanto in tanto. Dopo un campionato o un seminario noi socializzavamo, bevevamo, scherzavamo ecc. Ma con Sensei Tanaka era molto diverso. Venivo invitato a casa sua e lui faceva un barbecue. Mia moglia Janis a mio figlio Shane (era piccolo) mi accompagnavano, e le nostre due famiglie trascorrevano una calorosa serata insieme. Sensei Tanaka era residente in Danimarca alla fine degli anni ’70. Quandi andammo al gasshuku (NdT: allenamento speciale) alla vicina isola di Bornholm, ho condiviso la stanza con lui e abbiamo parlato fino a notte fonda. I giapponesi di solito non ti invitano a casa loro se non hai un rapporto molto stretto. A Tokyo, ebbi il privilegio di essere invitato per il te in diverse occasioni dnell’appartamento di Sensei Nakayama (sopra l’ Hoitsugan) e e ricordo alcune conversazioni interessanti con lui. La Signora Nakayama era sempre molto ospitale.

18. Nel 1986 ti è stato conferito il 6o dan da Sensei Nakayama stesso, diventando così uno dei più alti gradi conferiti a un non-giapponese vivente. Questo sicuramente rispecchia la stima che ti era attribuita. Riguardando ora quei tempi, lo rifaresti?

Senza dubbio. Il karate è la mia passione e il mio stile di vita. Ogni sacrificio è valso la pena. Vorrei poter ritornare a quei tempi. Non c’è mai stato un periodo più felice nella mia vita. 19. Puoi condividere con noi qualche ricordo di allenamenti con Sensei Nakayama?
All’inizio non sempre capivo quello che Sensei Nakayama voleva. Alcuni anni più tardi riuscii a comprendere quale profondità di conoscenza lui avesse e cosa lui voleva veramente intendere e richiedesse per le varie tecniche. Ma fu di così grande aiuto, così gentile, così paziente e così saggio. Lui sapeva che io (e altri) non avevamo la maturità per afferrare le sue idee, ma perseverava sempre con noi. Oggi, così tanti anni dopo. Mietiamo I benefici della sua saggezza in così tanti modi. 20. Per un certo periodo il Sud Africa come nazione non partecipò in competizioni internazionali. Successe anche nel karate? Se è così, quale fu l’effetto sul karate nel tuo paese?
Nel corso degli anni, Stan Schmidt, Norman Robinson ed io avevamo instaurato molte amicizie con amici di alto livello e influenti e contatti in tutto il mondo. Così in quel periodo I karateka sudafricani non rimasero mai senza allenamenti internazionali e tornei nell’ambito del tradizionale (ad eccezione del divieto di competere ai campionati mondiali ufficiali della JKA. Dove il paese soffrì maggiormente fu nell’arena dell’inter-stile ((WUKO / WKF) dove il governo dello sport ci mise fuori dalle competizioni. Ancor oggi, l’effetto dannoso sui nostri agonisti di karate inter-stile (all-styles) è noto, mentre il livello dei nostri karateka tradizionali continua ad essere di alto livello.
21. Il Sud Africa ha prodotto negli anni un gruppo di karateka di alto livello, Stan Schmidt, Norman Robinson, Ken Wittstock e naturalmente te. A cosa attribuisci questo successo come nazione?

E’ una domanda cui è difficile rispondere. I sudafricani generalmente sono duri, appassionati di sport e il karate era molto popolare. C’era un gran desiderio di avere successo e l’atteggiamento dei sudafricani non era molto diverso da quello dei giapponesi. La JKA in Giappone ci prese in simpatia e ricevemmo un grande incoraggiamento da Sensei Nakayama, Sensei Tanaka e Sensei Toru Yamaguchi, e da parte di altri istruttori giapponesi in altre parti del mondo come Sensei Enoeda e Sensei Ochi. Il karate crebbe passo dopo passo e per i primi due decenni noi fummo molto uniti, accrescendo il successo e lo sviluppo. 22. Tu sei anche un Istruttore internazionale di livello A (NdT: il più elevato, da D il più basso a A), di Giudice internazionale di livello A e di Esaminatore internazionale di livello A ottenuti dalla JKA (Nakahara) Quale altro non-giapponese sedeva nello Shihankai?

Allora solo Stan Schmidt, Norman Robinson, Bura Larsen dalla Danimarca ed io eravamo nel Comitato Shihankai. Non ho idea di chi sia stato eletto dopo che lasciai il gruppo di Nakahara nel 1993.
23. Tu sei stato uno dei primi occidentali a visitare regolarmente l’Honbu JKA e il tuo contatto risale molto indietro. Qual è il tuo rapporto con Sensei Kanazawa?
Sensei Kanazawa fu il mio primo istruttore nel mio primo viaggio in Giappone. Mi insegnò tutti i Lunedì, Mercoledì e Venerdì per tre mesi. Creammo un buon rapporto da allora. Questo rapporto si è mantenuto negli anni. Nel 2004 presi un gruppo di settanta karateka sudafricani ad allenarsi con circa un ugual numero di suoi studenti a Tokyo. Il feeling tra i due gruppo fu fantastico e io penso che fu grazie al fatto che tutti videro come eravamo amichevoli io e Sensei Kanazawa. Lui è un uomo fenomenale e secondo me probabilmente il miglior istruttore Shotokan con il quale mi sono allenato.
24. Tu hai combattuto con Mori in competizione. Cosa fu e dove si tenne questo combattimento? Puoi raccontarci qualcosa, o di qualche altro combattimento memorabile che hai avuto con i “grandi” della JKA nelle competizioni?
Quello è un combattimento che io ricordo con molta irritazione e che preferirei dimenticare. Ero agli All Japan championship del 1974. Allora, l’impressione che si aveva era che i Sensei più anziani avevano idée preconcette su chi dovesse essere campione in un anno particolare e chi almeno dovesse andare molto avanti in quel campionato e che chiudessero gli occhi su tutto ciò che fosse stato contrario ai loro piani. Io colpii mori con così tanti gyakuzuki, un forte chudan mawashi e soprattutto con un maegeri che inchiodò un Mori di 105 kg . Io peso 72 kg e puoi immaginare quanto dovetti calciare forte e efficace. Mi fu dato un ‘torimasen’ (NdT: "Tecnica non accettabile per il punteggio") per tutti i miei sforzi e lui non porto mai un pugno o un calcio su di me. Pochi secondi prima della fine del tempo supplementare l’arbitro improvvisamente chiamò il ‘yame’ (NdT: Stop!" – Fermarsi) e aggiudicò a lui un waza-ari (NdT: mezzo punto). Nessuno vide alcuna tecnica arrivare su di me. Molti agonisti occidentali che hanno combattuto con avversari giapponesi di alto livello hanno provato lo stesso trattamento. Io ero seduto vicino a Sensei Yahara durante Campionato Mondiale JKA (di Asai) in Svizzera nel 1998. Ad un certo punto lui si arrabbiò con un arbitro giapponese che assegnava punti immeritati a un concorrente giapponese e ignorava i punti conquistati dal concorrente occidentale. Sensei Yahara è un arbitro molto equo. Negli All Japan Championships in cui io gareggiai, preferii combattere nelle gare a squadra, perchè così avrei rappresentato la squadra di Sensei Tanaka che mi nominava giapponese “onorario” per quell’evento. Così le mie tecniche valide divennero sorprendentemente più visibili per i giudici e nel 1977 per esempio, fino al turno, incluso, in cui lo Shokukan fu battuto dai Vecchi Ragazzi del Takushoku (nei quarti o nelle semifinali) io rimasi imbattuto. Nonostante che allora un occidentale fosse considerato quasi niente nelle fasi individuali degli All Japan Championship, il fatto che sia stato considerato abbastanza bravo da poter competere è ancora un motivo di orgoglio.
25. E’ lo stesso Mori con cui combattè Frank Brennan? Hai assistito a quel momento epico nella storia della Gran Bretagna? Se sì cosa ti ricordi.
Si è lo stesso Mori. Sfortunatamente il Campionato Mondiale a Brema del 1980 era nel periodo in cui il Sud Africa era bandito dalla partecipazione e quindi non ho assistito personalmente.
26. Chi secondo te segue più strettamente gli insegnamenti di Sensei Nakayama?
E’ difficile dirlo perchè molte delle grandi leggende della JKA hanno le loro differenze individuali. Persino Sensei Sugiura, capo della JKA ha deviato molto dal ‘Best Karate’ di Nakayama nel suo primo seminario per istruttori che tenne mi pare nel 1991. Forse Sensei Tanaka lo segue, perché una volta gli chiesi perché qualcosa si faceva in quel modo e lui mi disse: !Perchè lo dice Sensei Nakayama”. Sono certo che Sensei Kawawada, assistente di Sensei Nakayama all’ Hoitsugan, dopo la sua morte abbia cercato di impartire gli insegnamenti del testo di Sensei Nakayama. Per inciso, le idee di Sensei Nakayama formano gran parte del mio regime di insegnamento, specialmente per ciò che concerne la standardizzazione del kata, ma ho le mie idee personali.

27. I tuoi figli Shane e Saville sono / erano entrambi campioni molto noti. Devi esserne estremamente fiero. Ci dici qualcosa di loro?
Saville ha un enorme potenziale. Lui è stato Campione del Mondo Junior KWF nel 2000, Campione All Japan Junio a 12 anni, membro della prima squadra nazionale del Sud Africa a 16 anni , ma la sua strada da adulto è diversa dalla mia. Lui ha diritto di avere i suoi sogni e le sue aspirazioni, ma naturalmente mi manca non averlo nel dojo ad allenarsi con me. Shane per me è unico. Lui si è laureato in medicina (cum laude), ha preso un MBA (cum laude) ha vinto i Campionati del Mondo KWF nel 2000, 2002 e 2004 (Gran Champion negli ultimi due) e nel 2005 ha vinto il titolo l'All-Shotokan Kumite della WSKA . Lui segue le mie orme come Capitano della squadra sudafricana Protea (prima era chiamata Springbok) e ha ottenuto il titolo sudafricano sia nello Shotokan (JKA e poi KWF) sia All-styles da quando aveva 18 anni fino ai 29 anni dopo essere stato campione sudafricano nei junior da quando aveva 7 anni fino ai 17 anni ogni anno nella sua età. Ha anche vinto il Campionato del Mondo Under 19 e Under 21.
28. A parte Shane, tu hai allenato personalmente molto grandi karateka, Ian Duncan, Mike Dukas, Michael Roetz, Marco Fanicchi sono solo alcuni nomi degli agonisti JKA. Come hai sviluppato una così forte scuderia di karate-ka?

Naturalmente devo riconoscere il merito di altri istruttori che hanno contribuito alla crescita di Mike Dukas e Ian Duncan all’inizio della loro carriera. Michael Roetz, Marco Fanicchi e Shane erano miei studenti fin da bambini. Tuttavia, io credo che il motivo, come dici tu, di una forte scuderia di karate-ka è che io non soffoco il potenziale o l’opinione di questi abilissimi karateka, ma piuttosto lo incanalo nello spirito del Budo, nella camerateria e nell’applicazione scientifica e nell’implementazione delle tecniche. Noi lavoriamo insieme per migliorare la nostra organizzazione e la politica è bandita. Il requisito per essere un membro del Shihankai del KWF SudAfrica è quello di essere un istruttore qualificato e tecnicamente competente con una attitudine al Budo e un grado elevato, ma prima e soprattutto un karateka PRATICANTE che guida dalla prima fila. 29. Tu hai scelto di seguire il cammino di Sensei Yahara. Perché?

Lui stesso è indubbiamente un esempio eccezionale di Budo, la politica di KWF è Budo e i membri anziani del KWF sono Budoka. Questo si sposa sia al mio approccio sia a quello dei miei gradi più elevati nel KWF Sud Africa. Lui è più giovane della maggior parte dei capi delle varie organizzazioni Shotokan, il che aumenta la longevità potenziale della sua leadership per il futuro. Noi ci incontrammo negli anni ’70. Ci siamo allenati insieme, abbiamo grondato sudore sugli stessi pavimenti molte volte, abbiamo perso sangue sullo stesso pavimento molte volte e soprattutto, lui è mio amico. Poi lo considero un privilegio che mi abbia voluto come Vice Capo Istruttore a livello mondiale . Non essendo giapponese, uno tende a non aspettarsi un incarico di quel livello in una organizzazione dominate da giapponesi. Ho visto con rispetto l’imparzialità della sua scelta. 30. Si dice anche che tu abbia introdotto il Kendo in Sud Africa. Com’è successo?
Avevo fatto un po’ di kendo al Nihon Budokan all’inizio degli anni ’70. Nel 1983 sentii il bisogno di fare qualcosa che avesse più a che fare con la cultura delle arti marziali giapponesi da aggiungere a quanto avevo imparato col Karatedo. Pensai che il Kendo, per il suo approccio molto tradizionale, fosse il modo giusto per questo. Iida Sensei, un istruttore dell’Honbu JKA, mi accompagnò ad incontrare e ad allenarmi con l’istruttore che insegnava Kendo nel suo dojo personale di karate. Sensei Iida era anche un monaco e il suo dojo era parte di un tempio giapponese. Nel 1984 al mio ritorno in Giappone trovai un istruttore di Kendo, Sensei Akira Kubo, che aveva il suo Dojo Kyumeikan che era famoso per insegnare agli occidentali. Nel 1986, una settimana prima che io ricevessi il mio 6° Dan da Sensei Nakayama, ricevetti il Nidan (NdT: 2° dan) dalla All Japan Kendo Federation e al mio ritorno in Sud Africa incominciai il corso di Kendo nel mio dojo. Tuttavia, alcuni anni dopo, avendo sempre più impegni nel karate, fui costretto ad abdicare a due dei miei migliori studenti di kendo, uno dei quali è ancora l’attuale presidente della Federazione di Kendo del SudAfrica.31. Qual è il kata preferito di Malcolm Dorfman e perché?

Nijushiho. A metà degli anni ’60 ho visto il campione del Sud Africa di quel periodo eseguire questo kata. La fluidità e la bellezza mi incantarono e chiesi a Sensei Stan Schmidt di insegnarmelo. In quei giorni si poteva farlo come tokui kata (NdT: proprio kata personale preferito) per l’esame Shodan (NdT: 1° dan), come io feci, e infatti ho eseguito Nijushiho in ognuno dei miei esami per passare di grado da Shodan a Hachidan (NdT: 8° dan) . Anche mio figlio Shane ha Nijushiho come suo tokui kata. 32. Tu hai quasi 60 anni, ma hai ancora molta energia. A cosa lo attribuisci?

Probabilmente buoni geni ma soprattutto perché io adotto un programma di esercizi e fitness molto scientifici in aggiunta al mio allenamento di karate. Vedere il mio corpo in ottima forma e condizione mi motiva a mantenere questo livello. Desidero anche molto mantenermi giovane sia fisicamente sia mentalmente e l’atteggiamento gioca un ruolo fondamentale. Il mio allenamento di karate è bilanciato tra l’allenamento duro e quello moderato così da limitare l’abuso sui legamenti, sui tendini e sulle giunture. Il mio obiettivo è di potermi allenare fino a quando avrò 90 anni se sarò fortunato di vivere così a lungo. 33. I “vecchi tempi” erano veramente diversi rispetto alla pratica di oggi?
Oh si. Persino in Giappone non è più uguale. L’aspetto commerciale, lo sport, il modo leggero di vivere, tutte queste cose hanno contaminato la bellezza dei vecchi modi. E’ triste che la maggioranza dei moderni karateka non conosceranno mai la gioia della pratica degli anni ’60 e ’70 con e alla JKA. Ma nonostante ciò, il karate continua ad essere per lo più un meraviglioso stile di vita per i suoi praticanti, con immensi benefici.
34. Pensi che gli anni ’70 siano stati i “giorni felici” della JKA e dello Shotokan in generale, o lo sono stati persino prima?

Penso che siano cominciati alla fine degli anni ’60, ma gli anni ’70 non furono mai più eguagliati negli anni che seguirono. Se ricordi, il 1970 fu l’anno in cui Yukio Mishima , the il famoso scrittore (NdT: per informazioni sulla sua vita e sulle opere: http://www.mangialibri.com/2006/05/speciale-yukio-mishima.html), fece seppuku (NdT: taglio del ventre, conosciuto anche come Hara Kiri) pubblicamente per attirare l’attenzione sul Giapponese che in generale stava perdendo il suo approccio al Budo. Penso che avesse previsto giusto. La JKA degli anni ’80 e ’90 non aveva la profondità del karateka guerriero che produsse negli anni ’70. Oggi, dove sono i nuovi Tanaka e Yahara?
35. Credi che il Karate occidentale stia andando nella giusta direzione?
Probabilmente, nel rendere più popolare il karate per l’uomo e la donna comuni come alternativa al mantenimento della condizione fisica e per i bambini come attività divertente, in questo caso la risposta sarebbe SI. Ma nell’ambito della vera essenza del karatedo, la risposta è un enfatico NO. Nella sfera delle competizioni, è avvenuto l’emergere della figura dell’atleta di karate, il vero spirito del Budo è andato perso in una versione simulata. Anche l’etichetta e l’atteggiamento si sono deteriorati. Così per me, che appartengo alla vecchia scuola, se devo fare un commento in generale, la risposta è NO.
36. Che cosa rende, secondo te, un “grande karate-ka”?

Per essere un grande karate-ka, si deve essere competenti tecnicamente, avere una grande conoscenza, avere motivazioni, essere coraggiosi, duri, compassionevoli e possedere l’abilità di fornire conoscenza con efficienza e pazienza. Altri requisiti dovrebbero essere la sincerità e la lealtà e qualsiasi arroganza dovrebbe essere sostituita con modi di autorevolezza. Ma prima di tutto il grande karateka deve essere un karateka che pratica lui stesso.

37. Quale consiglio daresti ai karate-ka dello shotokan tradizionale nel karate orientato allo sport di oggi?
Come in quasi tutti gli sport c’è un limite nel periodo in cui uno può rimanere in attività con successo. Intorno ai 35 anni si è avanti cogli anni nel karate agonistico di alto livello, se non prima – e poi? Il karate è così ampio in cosa offre, ma per poter godere di questo non di devono trascurare gli aspetti tradizionali nemmeno nel periodo agonistico. Il karate è uno studio di tutta la vita che porta alla realizzazione. Dovremmo sempre ricordare che l’aspetto agonistico è solo una piccola parte della totalità del karatedo. Sensei Malcolm, grazie per essere stato sincero, è stato un piacere. Faccio i migliori auguri a te e ai tuoi studenti per il futuro. OSS.

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